Il sacerdozio comune dei fedeli. Presentazione

Autori

  • Vicente Bosch

Abstract

Ci sono argomenti teologici di cui oggi a malapena si scrive e di cui ancor meno si parla a livello pastorale (catechesi e predicazione). Uno di essi è quello che affrontiamo nel presente fascicolo. Sembra infatti che, dopo il protagonismo concessogli dal Concilio Vaticano II – in particolare da Lumen gentium, Apostolicam actuositatem e Ad gentes – e dai commenti ai documenti nell’immediato postconcilio, il sacerdozio comune dei fedeli, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, sia stato ridotto ai nostri giorni ad argomento ormai consumato, senza apparente interesse e perfino segnalato come oggetto misterioso o poco decifrabile. Un mancato approfondimento della natura, delle origini, del contenuto e delle conseguenze del sacerdozio comune, potrebbe in effetti condurre facilmente ad interpretazioni ristrette e di scarso valore (un presbiterato annacquato, una concessione ai fedeli laici per dare base e fondamento al loro contributo nei compiti e nelle mansioni dei pastori, ecc).

Dotata di fondamento biblico e patristico e di carta di cittadinanza nella scolastica, la dottrina sul sacerdozio comune dei fedeli conobbe un comprensibile arresto nel Magistero del Concilio di Trento, più preoccupato di difendere il sacerdozio esterno e visibile dei ministri, di fronte alle tesi luterane al riguardo. Non vi è pertanto da meravigliarsi che la teologia postridentina abbia conferito al sacerdozio comune il valore di semplice metafora o di capacità passiva di ricevere i sacramenti, ascoltare la predicazione ed essere guidati dalla gerarchia. La vita della Chiesa nel secolo xx, con il risveglio del laicato nelle sue diverse manifestazioni, e la riflessione teologica in ambito ecclesiologico e liturgico, aprirono nuove prospettive che confluirono nella ricca dottrina conciliare sul sacerdozio comune. Consapevoli di questo patrimonio e di quanto sia importante per l’azione missionaria della Chiesa una giusta comprensione e valorizzazione del sacerdozio comune dei fedeli, vorremmo suscitare un nuovo interesse per questo soggetto, tentando di collocarlo nuovamente nella mappa dell’odierno dibattito teologico.

A tal fine, si è data forma al contenuto di questo fascicolo secondo una logica che la nostra abituale suddivisione dei contributi in studi e note può impedire di cogliere a colpo d’occhio nel sommario. Non è superfluo pertanto spiegarla qui brevemente. Ci introduce all’argomento il prof. Pellitero con uno status quaestionis sulla teologia e sul Magistero postconciliari. L’articolo offre una visione sintetica che apre lo sguardo sulle diverse questioni insite nel tema del sacerdozio comune e ad esso collegate. La radice biblica del nostro argomento emerge dai contributi del prof. Tábet (Rilettura neotestamentaria di alcuni passi dell’Antico Testamento sul sacerdozio comune dei fedeli) e del prof. González (Santidad sacerdotal y santidad de Israel. Dos ideas relacionadas en el libro del Levítico). Nel periodo patristico, il sacerdozio comune dei battezzati fu accuratamente approfondito e non mancano studi e sintesi sulla dottrina dei Padri. Il prof. Mira (Il sacerdozio comune dei fedeli nei Padri della Chiesa) ci offre una personale panoramica, avvalendosi degli studi specialistici. Il tema oggetto di studio ha particolari risonanze in ambito ecclesiologico – la Chiesa è un popolo sacerdotale con un’attività cultuale e missionaria – ed è opportuno, pertanto, uno sguardo in questa prospettiva, anche perché il sacerdozio comune costituisce una delle colonne della rinnovata visione della Chiesa proposta dall’ultimo Concilio. Di offrire questo sguardo si occupa il prof. de Salis (Il sacerdozio comune alla luce del mistero della Chiesa: percorso postconciliare e proposte di futuro). Un approfondimento sul sacerdozio comune rimarrebbe incompleto senza il riferimento a colui che nel sec. xvi ha fatto del nostro argomento il suo stendardo (Pouw: Greatness and Limits of the Common Priesthood in Luther). Infine, due contributi mettono a fuoco il sacerdozio comune nel suo versante pratico e vitale: il prof. Zaccaria evidenzia il rapporto esistente tra la Missa chrismatis e i sacramenti dell’iniziazione cristiana, mostrando alcuni elementi significativi per una teologia del sacerdozio comune (Il sacerdozio comune nella Missa chrismatis. Malinteso o arricchimento?), mentre la prof.ssa Rossi Espagnet tratta dell’esercizio del sacerdozio comune nella vita matrimoniale (Il sacerdozio comune degli sposi cristiani).

Ci auguriamo che il nostro intento di ridare vita e dinamismo a una nozione chiave per comprendere la vocazione cristiana e il ruolo di ogni battezzato nella missione della Chiesa, incoraggi lo studio e un rinnovato approfondimento del tema del sacerdozio comune dei fedeli. A livello pastorale, invece, si dovrebbe trasmettere ai fedeli una nozione di sacerdozio comune che apra orizzonti e aiuti a essere concreti nella sua attuazione. San Paolo VI ne parlò in questi termini: «Sacerdozio vuol dire capacità di rendere il culto a Dio, di comunicare con Lui, di offrirgli degnamente qualcosa in suo onore, di colloquiare con lui, di cercarlo sempre in una profondità nuova, in una scoperta nuova, in un amore nuovo. [… Pertanto, i fedeli] devono esercitare questo dialogo, questo colloquio, questa conversazione con Dio nella religione, nel culto liturgico, nel culto privato, e [sono chiamati] ad estendere il senso della sacralità anche alle azioni profane»
(Omelia, 29.6.1972). Anche san Josemaría Escrivá si esprimeva in questo senso: «Noi tutti, con il Battesimo siamo stati costituiti sacerdoti della nostra stessa esistenza per offrire vittime spirituali, ben accette a Dio per mezzo di Gesù Cristo, per compiere ciascuna delle nostre azioni in spirito di obbedienza alla volontà di Dio, perpetuando così la missione dell’Uomo-Dio» (È Gesù che passa, n. 96).

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Pubblicato

2019-11-30